Alla ricca pianura che portava ogni ricchezza a Gian Galeazzo, come celebravano i commentatori del basso medioevo, bastava Milano quale centro propulsore e portare a casa la pagnotta. Tutta la valle padana si è accontentata dei suoi capoluoghi anarchici e discordi, la cui agevole continuità territoriale è stata inutile alla formazione di uno stato unitario. Veneti, Lombardi ed Emiliani hanno in comune solo il feroce spirito privato e l’indomabile avversione per l’autorità statale. Questa è l’ideologia del Nord che, nell’Italia dei particolarismi e delle false ansie di secessione, fomenta autonomie e avvelena la vita nazionale.
Durante l’emergenza Covid 19 si è avuto il più aspro scontro istituzionale della storia repubblicana. La riforma del Titolo V della Costituzione (voluta dalla temperie leghista) ha sancito il principio di sussidiarietà, creando sovrapposizioni di compiti e cancellando precise responsabilità. La scia di questa sovrapposizione irresponsabile si è mantenuta sotterranea fino all’imprevista urgenza sanitaria, ma è conflagrata dopo la creazione delle zone rosse di Codogno e Vo euganeo.
Il 25 febbraio parecchie fonti riportarono la rissa tra il presidente lombardo e Conte. Pare che a Fontana non piacque il rilievo del premier che metteva il naso nelle falle della sanità regionale, orgoglio e vanto di una lunga stirpe di governatori. Pare che quella faccia da contadino iroso del piano lombardo avesse detto :”Vaffanculo, cialtrone” al presidente Conte, e “ciarlatano”. Solo i buoni uffici del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, ex sindaco di Lodi, riuscirono a ricomporre un’apparenza di collaborazione istituzionale, perché il contadino era andato via sbattendo la porta infuriato e non accennava a ritornare.
Quanto era successo, oltre a concernere la perenne propaganda elettorale che la Lega fa in assenza di altre responsabilità politiche, è un chiaro segno di demarcazione del territorio con una pisciata lombarda contro le ingerenze di Roma. Di lì in poi, anche i giornali nazionali parlarono di colpa del premier per aver mostrato la falla nel pronto soccorso di Codogno da cui era partito il contagio. E io mi sono fatta l’idea che di lì in poi, dentro di loro, Conte (e forse anche il governo) abbiano reso a Fontana il vaffancùlo che avevano dovuto sopportare. Abbiano lasciato la Lombardia al suo capo naturale, ai suoi imprenditori famelici, alle aperture a tutti i costi, agli ululati contro l’oppressione di Roma, e arrangiatevi!
Quello che è successo ad Alzano e a Nembro è l’effetto di un canale di comunicazione interrotto dopo gli strilli del contadino sorretto dal suo fido con la faccia di fesso del villaggio. Quello che è successo in Lombardia, che ha trasformato l’intera nazione nel lazzaretto d’Europa, costretta a giustificarsi e a chiedere fiducia ai suoi partners, è una secessione di fatto in un momento esiziale della storia nazionale. Un disastro di cui si impedisce di accertare le colpe, a causa di una magistratura serva e di una verità che affonda nella pletora delle menzogne. A causa di un popolo incapace di intercettare un bel nulla della mistificazione, e che oscilla tra la richiesta di giustizia per i morti di Bergamo, e la negazione in piazza dell’infezione da Covid.
Io purtroppo sono affezionato alla “comunità militare italica”. Quella particolare unità politica dal Rubicone a Reggio di Calabria, che durò in realtà solo pochi decenni prima delle guerre puniche. Una continuità territoriale che ebbe un suo centro indiscusso, e che rispettò lealmente. La storia d’Italia è la storia di una dominanza padana sulla sua parte peninsulare. Un dominio demografico e politico, che ha usato violenza e prepotenza al resto della nazione. L’ideologia del Nord, spietatamente attenta al particolare, deve ora autogovernarsi. Deve essere lasciata libera di farsi le sue leggi e di trasgredirle, senza che possa più addossare le colpe al resto d’Italia.