
Ieri Libero, senza volerlo, ha reso un grande servigio all’informazione. Ha intervistato, l’uno accanto all’altro, i tre senatori eletti nei 5Stelle e passati alla Lega, sotto il titolo: “Ormai il M5S non esiste più. Ma i traditori non siamo noi”. Stefano Lucidi ce l’ha con Di Maio: “Un leader che passa dal 33 al 15% deve lasciare la poltrona”. Giusto. E lui lascia i 5Stelle perché “la democrazia dal basso resta inapplicata”. Vero. Però le due cose non stanno insieme. Di Maio fu scelto come capo politico nel 2017 dall’82% degli iscritti a Rousseau (“democrazia dal basso”) e a maggio, dopo le Europee, quando chiese loro se dovesse restare o andarsene, fu rieletto con l’80% (“democrazia dal basso”). Regole molto discutibili, ma piuttosto note a chi nel 2018 si candidò nel M5S guidato da Di Maio. Così come l’impegno, sottoscritto anche da lui, a mollare il seggio e versare 100 mila euro di multa in caso di cambio di casacca. Il che lo rende poco credibile quando accusa i 5Stelle di “incoerenza” sul Mes e s’imbroda per la propria “coerenza” nel “passaggio naturale alla Lega”. Naturale un par di palle, visto che Salvini ha tradito i 5Stelle prima su molti punti del Contratto giallo-verde, poi con la crisi di governo agostana per distruggerli con le elezioni subito. Quanto al Mes, Lucidi dimentica che i partiti scrivono il programma come se governassero da soli e poi, se non hanno i numeri, sono costretti a compromessi con gli alleati. Né il M5S né la Lega inserirono nel Contratto giallo-verde l’abolizione del Mes, ma solo la sua “revisione”. Ora non è stato firmato e si tenta di rivederlo, ma non dipende solo dal Parlamento italiano, che nell’Ue conta 1/27, e il M5S col suo 33% di seggi conta 1/81.
Ma ecco Ugo Grassi, nientemeno che docente universitario a Napoli: “La mia scelta non è contro il M5S, ma a favore del progetto della Lega”. Viva la faccia: poteva accorgersene due anni fa, candidarsi con Salvini e farsi sonoramente trombare. Invece si fece eleggere nel M5S e scrisse un dotto saggio sulla legittimità delle multe e delle dimissioni per i voltagabbana. “Non ho cambiato idea”. E allora perché non molla il seggio e scuce i 100 mila euro? Perché “la Lega riprende molte battaglie condivise nel contratto di governo”. Quali? “Riforma saggia della giustizia, sviluppo responsabile del Sud, difesa del made in Italy”. Se ci aggiunge la pace nel mondo, vince Miss Italia. Ma sa bene che la Lega non condivide nemmeno uno dei punti targati M5S nel fu Contratto: blocca-prescrizione, manette agli evasori, reddito di cittadinanza, dl Dignità, salario minimo, acqua pubblica, Tav, Tap, analisi costi-benefici sulle grandi opere ecc.
Il che rende molto comica la frase: “Il Movimento ha cambiato idea su Tav, Mes, Europa”. Se fosse vero, resterebbe da spiegare che ci faccia Grassi nella Lega, che ha cambiato idea sull’Europa (da no euro a sì euro, da no Draghi a sì Draghi financo al Quirinale), il Mes l’ha avviato nel 2011 col terzo governo B. e sul Tav ha votato insieme a Pd, FI e FdI contro la mozione No Tav dei 5Stelle. Che non hanno cambiato idea: sono finiti in minoranza perché la Lega ha tradito il Contratto. Cioè: Grassi contesta il M5S che non ha bloccato il Tav e passa con la Lega che gli ha impedito di bloccarlo, non è meraviglioso? Ma lui è fatto così: un anno fa votò la blocca-prescrizione, storica battaglia dei 5Stelle, ma ora s’è accorto che è “incostituzionale”. E commenta amaro:“In questo anno e mezzo ho imparato a mie spese che i vertici del M5S hanno difficoltà a capire cosa viene loro spiegato”. Tutti zotici tranne lui. Infatti, quando arrivò in Senato l’alt alla prescrizione dopo la prima sentenza, votò sì; poi, 12 mesi dopo, scoprì che era una boiata. Capisce tutto, ma con calma, perché ha i riflessi di un bradipo.
Il terzo è Francesco Urraro, che è un po’ il buontempone del terzetto. Quando gli danno del “nuovo Scilipoti” si inalbera, perché “Scilipoti passò dall’opposizione alla maggioranza, noi facciamo l’esatto opposto”. Sì, passano dal partito più in crisi a quello più in salute, da mesi in testa ai sondaggi, per mettere in crisi il governo e avvicinare le elezioni e il ritorno al potere. Si portano avanti col lavoro, anzi con la lingua. Anche Urraro è un uomo tutto d’un pezzo: non aveva ancora cambiato casacca e già tentava di infilare nel dl Fisco un emendamento per cancellare la blocca-prescrizione che lui stesso aveva approvato l’anno scorso senza fare un plissè: ora anche questo giureconsulto ha scoperto all’improvviso i “profili di incostituzionalità” di quello che chiama “progetto Bonafede” (che è legge dello Stato da un anno). Anche lui ha molta nostalgia per la “democrazia partecipata”: infatti passa da un movimento che coinvolge 140 mila iscritti a un partito dove Salvini comanda con pieni poteri in attesa di farlo sul resto degli italiani (gli raccomandiamo le regole staliniste, tipiche della democrazia partecipata, dell’imminente “congresso” leghista). E lo fa perché “nella Lega è possibile impegnarsi in molte battaglie condivise nel Contratto di governo e dimenticate dal Movimento”: infatti, dopo aver imposto Tav e Tap, Salvini ha già annunciato condono fiscale tombale, inceneritori e trivelle à gogo, smantellamento del reddito, gran ritorno della prescrizione e del bavaglio sulle intercettazioni, abolizione dell’abuso d’ufficio, dell’appropriazione indebita e di altri reati da stabilire in base alle indagini future. Insomma, se non incontrano mai un elettore, i nostri tre campioni di coerenza hanno un futuro radioso. Sempreché Salvini non ribatta la testa e non torni quello che il 2 agosto 2016 tuonava: “Se vieni eletto in Parlamento con quel partito e poi cambi partito, te ne vai a casa e ti togli dalle palle… Vincolo di mandato. Sennò poi ti trovi gli Scilipoti e i Verdini”. Ma forse parlava a nuora perché suocero intendesse.
Fonte: Il Fatto Quotidiano – L’editoriale di Marco Travaglio