Secondo alcuni benpensanti dare a Salvini del neofascista farebbe il suo gioco. Ma dopo lo scandalo russo, è vero esattamente il contrario. Fa il gioco di Salvini sottovalutare quello che è emerso dalle inchieste e parlar d’altro. Scoppiato lo scandalo del Metropol, Salvini ha accelerato la sua ascesa al potere invece che rallentarla. Ha provato il colpo di mano e oggi riparte dalle regionali. E questo senza rispondere a nessuna domanda in merito alle sue frequentazioni moscovite. Nessuna. Il silenzio, il parlar d’altro, il minimizzare il verminaio neofascista che è emerso alle sue spalle, è esattamente quello che vuole Salvini. E chi lo asseconda fa il suo gioco come confermano i sondaggi. I benpensanti pensano che per fermare Salvini basti prenderlo per quel “cazzaro” che è. Con battutine e prese per i fondelli. L’ironia è sempre benvenuta, ma puntare solo su quella rischia di essere un errore fatale che ricorda quelli commessi proprio un secolo addietro. Certo lassismo scanzonato poteva funzionare prima, quando Salvini governava col Movimento 5 Stelle e nessuno immaginava chi fosse Savoini, Mikhail Molofeev e tutta la lobby neofascista internazionale che è emersa da Mosca fino a Los Angeles e che vede nella Lega di Salvini una testa d’ariete.
Dopo il Metropol lo scenario è completamente cambiato. Ma certe savianate non c’entrano. Per la tribù dei comunisti nostrani, Salvini è antropologicamente fascista e lo combattono come tale da sempre. Durante il governo gialloverde si scatenarono sporcando di schizzi di fascismo perfino i cinque stelle. Tutta acqua nel mulino della Lega anche perché in realtà il Movimento governando assieme a Salvini lo ha contenuto, ha fatto da argine alla sua invadenza neofascista. Alcuni temi sui diritti civili non sono nemmeno entrati nel contratto, mentre su altri come quello dell’immigrazione, il Movimento ha lottato punto su punto ottenendo rigore ma senza eccessive crudeltà. La dimostrazione è sotto gli occhi di tutti. Il governo gialloverde sembrava un covo nazifascista ma oggi sono in vigore gli stessi decreti sull’immigrazione e non ne parla più nessuno tranne che per le modiche richieste dal Quirinale e quelle dovute dalle magagne irrisolte da Salvini.
Per combattere l’ondata neofascista, quindi, non si tratta di sfoderare la retorica comunista d’annata. Non si tratta di tornare ai rossi contri i neri, ma di combattere con gli strumenti e le parole di oggi un progetto neofascista internazionale emerso chiaramente dalle inchieste e su cui Salvini continua a non proferire parola. La posta in gioco non è ovviamente il ritorno alla dittatura fascista classica. Il progetto neofascista è molto più intelligente e sofisticato e quindi soft. La loro è una battaglia quasi più culturale che politica. Non vogliono ribaltare la democrazia, la vogliono infiltrare, la vogliono modellare dal di dentro. La desiderano giusto più forte, putiniana, con un potere capace di addomesticare le opposizioni e l’informazione per garantirsi periodi lunghi di reggenza in cui progressivamente imporre le proprie idee retrograde alla società. Puntano ad un ritorno del nazionalismo come strumento di difesa dai cambiamenti frutto della globalizzazione. Sono profondamente antieuropei e vogliono sviluppare alleanze internazionali basate sull’affinità ideologica neofascista. Muri e fili spinati servono per difendere l’identità nazionale e la cristianità contro l’invasione degli infedeli dalla pelle scura ma anche dei peccatori nostrani e di tutti coloro che si oppongono al loro regime. Un progetto realistico, fattibile, non chimere. Al regime di Putin srotolano il tappeto rosso ovunque. E questo nonostante arresti gli oppositori a migliaia, faccia sparire i gornalisti e discrimini brutalmente ogni diversità. Il progetto neofascista ha nella Russia di Putin un modello di riferimento ben preciso e soprattutto perfettamente funzionante. I benpensanti nostrani che sottovalutano tutto questo e pensano di fermare Salvini con le battutine, si sbagliano di grosso. Il pericolo neofascista va raccontato ed affrontato per quello che è. E prima che sia troppo tardi.
Tommaso Merlo